[ideas] why stigma means for art - perchè lo stigma coinvolge l'arte


Why stigma means for art

Luigi Starace

It's a struggle within the struggle. Disillusioning those who believe that one must be endowed differently to create art. In doing so, the social function of art is diminished, as anthropologists well know, which can always be set aside when it becomes inconvenient, always justifiably considered a diversion. Certainly, there is a close, entwined relationship between psyche and art, and psychoanalysts of all schools only reiterate this and use art in therapy when necessary.
But without straying from the point, the discourse is this: one does not need to be carriers of madness to create art. Even the latest trends in cinema reaffirm this. Knowing how to create art, expressing oneself through a medium that one ends up engulfing and reproducing because that's what an artist does (big watermelon) passing through oneself. There is no art without a self. A non-conformist self, a self that has been compelled by life, by circumstances, to sharpen its vision from an early age, to accelerate internal maturation processes, to accept that one's being, even in the monotony of an ordinary life, is considered different by society, or perhaps better by the group one believes to belong to. In this sense, it is social.
Although the art of the insane is there to remind us that for almost a century art therapy has been more of a rehabilitative marketing operation than a real psycho-something-activity, it is difficult. It's difficult to imagine someone with OCD grappling with oil paints, or a manic person drawing Zen paths. Because mental illness is pain and not integration, solitary pain, the most solitary and even more distressing because it's not always imaginable. "What do you feel?" is a question that often serves more statistics than care.
Pain paralyzes, and its expression also paralyzes others.
It's after, that something can move. It's when balance is restored that colors are seen again, who knows if they are colors or something else. Let's not fear transgression with pain anymore, psychic dynamism with dysfunction. It's strange to say this in a decade where anti-conformism is branded, so much so that a tie is cheaper than jeans.
Groups project their enemies, their myths. Let's remove this pedestal, whatever mood it may be, from madness, from the painful diversity of the psyche. It's part of evolution.




Perché lo stigma è un tema che coinvolge gli artisti

Luigi Starace

E’ una lotta nella lotta. Disilludere i più che occorre essere dotati diversamente per fare arte. Cosi si sminuisce, e gli antropologi lo sanno bene, la funzione sociale dell’arte, che può essere sempre messa in riserva, quando diventa scomoda, sempre giustificatamene da considerare un divertissement. Certo che esiste un rapporto stretto, avvinghiato fra psiche e arte, e gli psicanalisti di tutte le correnti non fanno che ribadirlo e all’occorrenza usarla l’arte in terapia.
Ma senza uscire dal seminato il discorso è questo: non occorre essere portatori sani di pazzia per fare arte. Anche il cinema di ultima tendenza lo ribadisce. 
Saper fare arte, esprimersi con un medium che poi si finisce per fagocitare e riproporre, perché è questo che un artista fa ( grande cocomero ) passando per sé. Non esiste arte senza un io. Un io non conformista, un io che è stato costretto dalla vita, dalle circostanze, ad acuire la vista da piccolo, ad accelerare i processi di maturazione interna, ad accettare che il proprio essere, quindi anche nella monotonia di una vita usuale, sia considerata diversità dalla società o forse meglio dal gruppo cui si ritiene di appartenere. In questo senso è sociale.
Sebbene l’arte dei folli sia li a ricordare che da quasi un secolo l'arte terapia è una operazione di marketing riabilitativo più che reale psico-qualcosa-attività  è difficile.  Difficile immaginare un ocd alle prese con i pennelli ad olio, oppure un maniacale che disegni percorsi zen. Perché la malattia mentale è dolore e non integrazione, dolore solitario, il più solitario e ancor più angosciante perché non sempre immaginabile. Cosa senti è una domanda che molto spesso fa più  statistica che  cura.
Il dolore paralizza e il suo esternarlo, anche, gli altri. 
E’ dopo, che qualcosa può muoversi. E’ riportato l’equilibrio che si rivedono i colori, chissà poi se sono colori o altro. Non paventiamo più la trasgressione con il dolore, il dinamismo psichico col malfunzionamento. Strano dire questo nel decennio in cui l’anti conformismo è griffato, tanto che è più economica una cravatta  di un jeans.
I gruppi proiettano  i loro nemici, i loro miti. Togliamo questo piedistallo, di qualunque umore sia, alla pazzia, alla dolorosa diversità della psiche. E’ previsto dall’evoluzione.

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